Quando Paolo III Farnese vide il Giudizio Universale disse “se questo è quello che ci aspetta, povero me, poveri tutti”. Quello che aveva fatto Michelangelo fu di dare una potenza non solo spirituale, ma anche fisica alle sue opere.
Giorgio Vasari nell’introduzione alla vita di Michelangelo, usa queste parole:
[…] il benignissimo Rettor del cielo volse clemente gli occhi a la terra; e veduta la vana infinità di tante fatiche, gli ardentissimi studii senza alcun frutto e la opinione prosuntuosa degli uomini, assai più lontana dal vero che le tenebre da la luce, per cavarci di tanti errori si dispose mandare in terra uno spirito che universalmente in ciascheduna arte et in ogni professione fusse abile, […] del quale non si poteva se non credere che col tempo si dovessi scoprire un ingegno che ci mostrasse perfettissimamente, mercé della sua bontà, l’infinito del fine.
“L’infinito del fine”. Michelangelo riesce a conciliare due opposti che in arte avevano il loro spazio specifico: l’eterno e l’umano. Una capacità che nasce dalle motivazioni che spingevano Michelangelo al lavoro dell’artista. Da una parte il profondo desiderio di ascesi spirituale; dall’altra la frenesia di riprendersi i beni persi della famiglia che era andata in rovina. Solo un uomo che aveva in sé questi due vettori opposti poteva far dialogare la terra con il regno dei cieli.
La Pietà
Già la Pietà Vaticana spiega tutto. Realizzata nel 1497, quando Michelangelo aveva 22 anni. Il committente è stato un banchiere, Jean de Bilhères, ambasciatore di Carlo VIII di Valois, nominato cardinale da Papa Alessandro VI, il Borgia.

La posa è ispirata alle Vesperbild tedesche che associavano la morte di Cristo come primo momento per arrivare alla resurrezione, a una nuova nascita; e quindi Maria porge a chi osserva Gesù allo stesso modo di una madre che tiene in braccio il bambino appena nato.
Guardare la Pietà Vaticana è come leggere nella pietra l’inizio del canto XXXIII del Paradiso:
“Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”
La Madre e il Figlio nella Pietà rappresentano il massimo della loro condizione: Maria, donna, essere umano è diventata puro spirito, rappresentata nella sua giovinezza, lontana dalle passioni umane, serena anche se davanti ha il corpo del figlio morto. Gesù, sostanza di Dio, e al massimo dell’umanità, morto. Morto per colpa del peccato originale. È nell’unica condizione umana, nell’unica esperienza dell’esistenza, che Dio non può provare.
Corpo e spirito s’incontrano nella Pietà con la stessa semplicità con cui gli scultori riescono a far sembrare viva la fredda pietra.
Il Mosè del Monumento funebre a Giulio II
La scultura per Michelangelo era l’espressione dell’intelletto umano che riconosce la spiritualità. Un concetto che si concretizza nella convinzione che la scultura è già nel blocco di marmo e lo scultore è l’unico che riesce a “cavar via il superfluo” per ottenere l’opera finita.
La materia e l’artista entrano in una dimensione nuova. Lo scultore non si limita ad applicare i canoni e le regole della tradizione artistica ma inizia a dialogare con la scultura, e il lavoro prende svolte inaspettate.

Durante la realizzazione della statua di Mosè, collocata nel monumento funebre di Giulio II a san Pietro in vincoli, Michelangelo riesce a fare l’impossibile. La posa iniziale era seduta, con le gambe davanti, senza un movimento particolare e lo sguardo a controllare le reliquie delle catene di San Pietro sull’altare di fronte. Poi Michelangelo cambia idea, cerca la torsione, vuole che la statua guardi chi sta entrando in chiesa e ruota la figura: sposta la gamba sinistra indietro; cerca la torsione del personaggio per dare quel guizzo vitale che avrebbe fatto sembrare la figura profondamente vera.
L’arte di cavar via il superfluo
Cambiare la posa di una statua in marmo durante la sua realizzazione significa essere maestri della tecnica e avere la capacità di modellare la pietra a proprio piacimento. L’arte del “cavare via il superfluo” si consolida anche nelle statue dei prigionieri che sono lasciati in uno stato di abbozzo diventando l’emblema del suo modo di lavorare, del non compiuto michelangiolesco. È un effetto speciale, estremamente impressionista, che chiede allo spettatore di ricostruire nella visione della statuale le parti non lavorate.
Su queste note si comprende la Pietà Rondanini, l’ultima Pietà. Un tronco di marmo di Carrara dal quale emergono impalpabili Maria e Gesù, in piedi, segnati da qualche colpo di scalpello. Nessuna finitura addolcisce il modellato anche se il viso di Maria, “spostato” dall’alto verso il basso, rievoca la dolcezza della prima Pietà. Gesù sta scivolando, Maria si incurva in avanti come per prepararsi a uno slancio verso l’alto, all’imminente resurrezione.


La Cappella Sisitina
Nella cappella sistina Michelangelo fa i conti con il concetto di gravità che è una componente da dover sempre misurare nella scultura e che nella pittura può essere messo in secondo piano. Michelangelo ne fa un elemento imprescindibile e prende posizione già dalle prime mosse nel ciclo della Genesi che era stato terminato circa trent’anni prima, nel 1511. Nella Creazione di Adamo c’è un Dio Padre slanciato a creare il primo uomo, incurante dei suoi angeli che si affaticano nel tenerlo sospeso.

La materia segue la volontà dell’intelletto. Umano e spirituale si incontrano. Nella Cappella Sistina Michelangelo crea l’incredibile C’è un aneddoto che si racconta di quando, nel 1541, Paolo III Farnese vide per primo il Giudizio Universale. In quel momento la visita del papa fu travolta dalla massa di personaggi imponenti, massicci, titanici; in quel momento le uniche parole che gli uscirono di bocca furono “se questo è quello che ci aspetta, povero me poveri tutti”.
Nel Giudizio Universale le anatomie ipertrofiche, esagerate, ribadiscono il peso non solo spirituale dei personaggi impegnati a volte in azioni vigorose. Se da un lato c’è chi ascende al cielo, dall’altra parte c’è chi sta andando all’inferno percosso dai pugni degli angeli punitori. All’apice Gesù che alza la mano, pronto a schiaffeggiare i peccatori che occupano la parte bassa alla sua sinistra della parte dipinta. Maria, ormai si fa da parte non può più intercedere per gli esseri umani.

Con Michelangelo la pittura diventa scultura, il pensiero si fa materia, il divino diventa umano. È l’infinito del fine.
Articolo e Podcast di Michelangelo Mammoliti
Immagini






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