Giotto, Rinuncia degli averi, 1292-1296 Affresco, 270x230 cm Basilica Superiore di San Francesco, Assisi

Giotto. Dall’oro alla carne

Giotto cambia la pittura dallo stile Bizantino a quello Rinascimentale. Attento ai sentimenti, alla prospettiva, alla carne. Un passaggio che abbandona il fasto dell’oro e che accoglie la maestria dell’artista.

Le novità portate all’arte da Giotto ce le dice un pittore del Trecento discendente della bottega giottesca. Cennino Cennini, nel suo trattato, il libro dell’arte, scrive: “Giotto rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno ed ebbe l’arte più compiuta che avessi mai più nessuno”. 

Giotto, Rinuncia degli averi, 1292-1296 Affresco, 270x230 cm Basilica Superiore di San Francesco, Assisi
Giotto, Rinuncia degli averi, 1292-1296 Affresco, 270×230 cm Basilica Superiore di San Francesco, Assisi

Giotto trasforma l’arte dal greco in latino. Questa affermazione deve essere letta sapendo che fare arte alla “greca”, significava utilizzare i modelli idealizzanti e geometrici dell’iconografia bizantina; invece fare arte alla latina significava riscoprire il naturalismo, la rappresentazione della realtà, dell’arte antica, greco-romana. 

Quindi, Giotto trasforma l’arte bizantina in un arte che guarda all’antico. Accadde nell’ultimo decennio del Duecento a seguito di due eventi: il primo viaggio di Giotto a Roma e la committenza delle Storie di San Francesco ad Assisi.

C’è da premettere che la formazione di Giotto, sotto la guida del suo maestro storico  Cimabue, era già orientata verso un cambiamento. Tuttavia il primo soggiorno romano, che risale agli anni intorno al 1298, gli ha permesso di prendere coscienza sia del fare degli antichi che delle botteghe contemporanee di Pietro Cavallini e Jacopo Torriti. In questo ambiente Giotto diventa più sensibile alla descrizione delle emozioni e perfeziona la tecnica dell’affresco che metterà in opera nel cantiere di Assisi, dal quale si era per il momento allontanato.

Tra le storie di San Francesco ce n’è una che più di tutte dichiara il cambiamento. La rinuncia dei beni terreni ricorda l’incontro tra Francesco e il padre Pietro di Bernardone, tra il nuovo e il vecchio.

È un quadro dalla struttura molto semplice:

  • Nella metà superiore c’è la città descritta con la prospettiva. 
  • Nella metà inferiore ci sono le persone e le loro emozioni
  • A sinistra c’è il lato civile con Bernardone, i suoi familiari, i borghesi arricchiti posti sotto le loro case.
  • A destra c’è il lato religioso con San Francesco, il vescovo Guido I e due frati sotto la faccia di un tempio che allude alla chiesa.
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Di quest’opera il primo aspetto che si nota è la descrizione dei sentimenti e per comprenderli meglio sarebbe necessario tenere accanto un’altra Rinuncia dei beni terreni, dipinta sempre da Giotto, più tardi nel 1325, e che si trova nella Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze. 

Giotto, Rinuncia degli averi, 1325
Giotto, Rinuncia degli averi, 1325 Affresco Cappella Bardi, Santa Croce, Firenze

La rinuncia è ambientata all’aperto. Francesco si sta spogliando dei vestiti. Bernardone è arrabbiato pronto a colpire Francesco con un pugno ma la mano di un altro personaggio vestito in rosso lo ferma. Dietro, a sinistra la folla è scandalizzata dall’accaduto. Due bambini si tengono i vestiti a sacco, dentro tengono pronte delle pietre da tirare addosso al pazzo, a Francesco.

Dall’altra parte il vescovo Guido I copre con una veste il Santo alla presenza di altri due chierici. Un nuovo vestito che significa l’inizio di una nuova vita. In alto, la mano di Dio taglia un pezzo di cielo e sporge per benedire il momento.

Giotto capisce bene il messaggio di semplicità di Francesco, aiutato anche dal fatto che dipinge ad Assisi settant’anni circa dopo la morte del Santo. Il ricordo era ancora vivo, forse quei due bambini coi sassi sono diventati grandi e hanno potuto raccontare al pittore la loro memoria viva, di chi era veramente Francesco. Giotto a questo punto è l’artista che è pronto a raccontare l’umanità del pensiero francescano.

La rinuncia è una osservazione impietosa di quanto siano differenti gli uomini che guardano alle cose terrene dagli uomini che hanno fede. I due personaggi principali, Giotto e suo papà Pietro di Bernardone ci dicono molto anche di Giotto. Bernardone è rappresentato vestito di in una tunica dorata. A destra c’è san Francesco a torso nudo, vestito, a coprire le parti basse. Con questo Giotto dichiara la sua appartenenza a un’arte latina che si fa strada al posto dell’arte greca.

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Bernardone ha una posa aperta, sembra bidimensionale come accadeva ai soggetti dell’arte bizantina che perdevano una dimensione per permettersi di entrare in un mondo ideale. Invece Francesco è di scorcio ed è modellato con un chiaroscuro che evidenzia l’anatomia corretta del suo corpo. Il santo ha una propria volumetria che lo rende reale.

Anche i vestiti danno forza  al contrasto messo in opera. Bernardone è in oro, così come l’oro dominava i mosaici bizantini riflettendo la luce naturale e simboleggiando la luce di Dio. Francesco invece è in blu, un colore che è proprio della natura ma che è prezioso quanto l’oro, fatto dai lapislazzuli e che poi, nel quattrocento, divenne il colore delle opere rinascimentali, e soprattutto delle vesti di Maria, del cielo.
Questa è solo un’opera di Giotto che diventa indicativa della sua fuga dal medioevo. La scelta di adottare la prospettiva, la ricerca della realtà e l’umanità di un santo tutto semplicemente – si fa per dire – per dare il valore della realtà ai suoi dipinti.

Podcast e articolo di Michelangelo Mammoliti


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