Nella preistoria l’arte è magia. C’è molto che va oltre la nostra idea dell’arte dietro le pitture rupestri, a cominciare dalla produzione artistica degli uomini delle caverne che avevano trovato uno strumento utilissimo per propiziare la caccia, attraverso il lavoro dello sciamano.
Osservando le pitture è necessario chiederci se la pittura è un’invenzione o una scoperta? In sintesi si può dire che la pittura è un piccola scoperta che diventa una grande invenzione.
È una scoperta: nasce dalla vita quotidiana degli degli uomini primitivi che cucinavano gli animali cacciati sulla fiamma viva; sul fondo del falò restava il grasso animale che mischiato con la cenere, diventava un residuo appiccicoso e nero; qualcuno osservò che le pietre intorno al fuoco, su cui si cucinavano le prede, restavano colorate di quel nero che non poteva essere più lavato via.
È un’invenzione: qualche essere umano abbastanza intelligente, forse uno sciamano, ha pensato di tracciare dei segni sulla pietra proprio con il nero del falò; pergiunta li ha disegnati sulla parete della caverna dove non potevano essere viste; inventò segni che, secondo lui potevano modificare il corso degli eventi. Da quel momento sono passati per quelle rocce centinaia di sciamani che si sono tramandati l’arte della pittura in circa 40.000 anni.
Nell’arte preistorica i tempi sono molto dilatati e sono tempi utili anche perché avvenga una piccola magia, che è più una casualità, della quale l’artista preistorico, con le sue capacità divinatorie, non poteva prevedere. Nelle migliaia di anni che sono passati dalla realizzazione delle pitture rupestri, si è formata sulla pittura una sottile patina, conseguenza di un processo chimico che si chiama “carbonatazione”. L’acqua, che si infiltra nelle pareti delle caverne e che si porta dietro sali minerali, piccole quantità di calcio; l’acqua che normalmente da forma alle stalattiti e alle rispettive stalagmiti; l’acqua non ha avuto modo di sciogliere il grasso in cui erano mescolati i colori ma ha inglobato la pittura in uno strato protettivo di carbonato di calcio quasi trasparente che ha conservato quelle primitive pitture fino ad oggi.
L’arte preistorica è intrisa di fortuna, o forse di autentica magia, come magico era il fine dello sciamano che l’ha realizzata. Con il pennello si adattava alle asperità del muro facendo attenzione ai passaggi di ombra e di luce. Dipingeva animali, uomini che cacciavano, per propiziare la caccia. Qualche volta dipingeva anche per fare il conto del bottino di caccia. E poi tutto restava nel buio della caverna. Sicuramente era un’arte che non aveva scopo decorativo, quindi si presuppone che veramente potesse avere un ruolo magico. Purtroppo c’è l’amara realtà del fatto che non sapremo mai come sono andate veramente le cose, proprio perché nella preistoria non si scriveva.

Tuttavia ci si può fare un’idea guardando le immagini, che è pur sempre un “linguaggio” di prima mano, stilato dall’autore originale. L’aspetto più affascinante è che nell’arte preistorica si identificano subito due “direzioni” che saranno due poli di attrazione in tutta la Storia dell’Arte:
- la rappresentazione che cerca di riprodurre con attenzione la realtà (il naturalismo)
- una sintesi che la semplifica la realtà in pochi tratti (l’idealizzazione).
Ci si chiede molto spesso su chi fosse nato prima, se il naturalismo o l’idealizzazione. Le prime teorie sono concordi nel dire che lo stile ha evoluto da una sintesi quasi geometrica per arrivarne a uno stile più raffinato, più attento ai particolari.
A sostenere questo è l’etnologo, archeologo e antropologo André Leroi-Gourhan, che tra il 1945 e il 1963 riconobbe l’esistenza nelle grotte francesi, di quattro stili pittorici: ha osservato che le pitture più antiche hanno uno stile semplice mentre i più recenti hanno disegni più ricchi e complessi, sia per forme che per colori.
La teoria di Leroi-Gourhan è supportata da una grande quantità di dati e di ricerche negli ambienti dove si sono sviluppate le pitture primitive. Purtroppo però l’arte delle caverne non è così “ordinata” per il fatto che molte mani si sono mosse nelle volte preistoriche, e in epoche diverse. Quindi avere la comprensione esatta di come si siano evoluti i dipinti è un’operazione poco attendibile.
Una riflessione più su vasta scala deve essere integrata e deve nascere dal rapporto tra arte e magia, e in più con l’aggiunta dello sviluppo differenziato nei siti antichi delle tecniche di caccia. Quando per le società preistoriche la possibilità di una caccia fortunata era molto incerta lo stile tendeva ad essere più dettagliato, quindi tendente al naturalismo come se una descrizione attenta di una preda portasse bene alla cattura. Al contrario, quando le tecniche di caccia sono più infallibili, magari perchè si è sviluppata la lancia o l’arco, i dettagli iniziano ad essere sempre più sintetici e tendenti a una forma simbolica, idealizzata.
La percezione della Preistoria è un atto delicato, a volte dare indicazioni certe è superfluo. Sapere in che direzione vanno il naturalismo e l’idealizzazione in un periodo di oltre 40.000 anni di cui non è rimasta testimonianza scritta, è inutile anche perchè è corretto pensare che in tutto questo tempo le direzioni dello stile si siano potute alternare. Quel che resta è lo stile che, tra tutte le innovazioni preistoriche, è la più bella invenzione.


