Dal consumo al sacro. É solo Pop-Art!

E chi l’ha detto che solo quel che è sacro può essere una icona?

Warhol, Last Supper
Andy Warhol, Last Supper, 1969, Andy Warhol collection, New York
Andy Warhol, Last Supper, 1969, Andy Warhol collection, New York
La Pop-Art è un fenomeno che non poteva nascere in altri posti fuorché a New York. Il momento giusto è stato proprio negli anni ‘sessanta del ventesimo secolo.

Gli Stati Uniti, nei dieci anni dopo la Seconda Guerra Mondiale sono in crescita economica; sull’altra costa dell’Atlantico c’è un continente che si sta ricostituendo ad elettrodomestici e Coca-Cola. Salvo per chi si è alleato, l’America è un modello da seguire imposto dai piani di finanziamento, di riavvio dell’economia, avviati dal segretario di stato americano George Marshall.
Per l’Europa i danni della Seconda Guerra Mondiale si contano non solo nella distruzione e nell’azzeramento del potere economico ma anche nello spostamento dell’asse artistico oltreoceano, a vantaggio del luogo di primo sbarco per chi scappava dalla follia, dalla guerra e dalla miseria: New York, la città della fortuna e delle opportunità, crocevia di culture e saperi che si lasciano dietro il mondo vecchio da cui provengono.
Quello che avviene non é rimozione delle origini ma una cambio di direzione. Gli artisti della Pop-Art, anche se sfacciatamente moderni, hanno un modo di fare che é antico, utilizzando le stesse finalità e lo stesso modo di fare arte dal sacro ai prodotti di consumo di massa. Popolari. Pop.
Il soggetto che diventa Pop è “icona”, parola che ha un valore sacro legato alla liturgia del divino, nota a tutti e da tutti universalmente condiviso.
Nella cultura laica, multi-religiosa, atea che vive a New York, “icona” non può avere più il significato bizantino del termine e acquisisce sinonimo di “commerciale”. Il prodotto di consumo massivo è il nuovo dio. La Zuppa Campbell’s, la Coca-Cola, il detersivo marca Brillo, sono oggetti che la società industriale universalmente riconosce. Questo destino non si limita solo alle cose. Quando il 4 marzo del 1966 John Lennon dice che i Beatles sono più famosi di Gesù, ratifica che anche l’uomo è diventato “prodotto” grazie all’industria del cinema e della televisione. Il divo diventa il nuovo divino e Gesù è stata la prima icona Pop della storia. L’icona bizantina era l’oggetto con cui si faceva conoscere quello che era già noto a tutti, l’icona Pop celebra il prodotto. Tutti conoscono la Coca-Cola, al punto che non c’è una reale necessità di pubblicizzarla, nonostante questo, il battage è martellante, come un prodotto da scaffale, allo stesso modo diventa seriale l’arte Pop.

Anche la tecnica nella la Pop-Art non si discosta dai modi dell’icona. Il procedimento antico del costruire l’immagine sacra si affida a un formulario di azioni come la preparazione del supporto, la traccia del disegno, la posa dell’oro e la stesura della pittura. Nella Pop-Art le opere sono un prodotto artigianale o semi-artigianale: Warhol stampa i suoi barattoli, le sue scatole e le sue Marylin con tecniche serigrafiche; Oldenburg cuce personalmente la sua toilette molle; Lichtenstein dipinge uno per uno i puntini dei suoi fumetti giganti.

La Pop-Art così lascia al secolo una nuova generazione di iconisti, non più sacri; votati forse al dio del consumo e che però, nel loro modo, rendono sacra l’immagine dell’olimpo della cultura popolare.


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1 commento su “Dal consumo al sacro. É solo Pop-Art!”

  1. Articolo interessante e completo, anche per la cornice storica. Aggiungerei, se possibile, un piccolo particolare: il monaco , prima di accingersi alla preparazione e all’esecuzione dell’icona, faceva un ritiro spirituale ; inoltre , durante il periodo dell’iconoclasmo, molti monaci persero la vita nel tentativo di difendere le icone dalla distruzione.

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