Massimo Campigli (Berlino, 4 luglio 1895 – Saint-Tropez, 31 maggio 1971), è un pittore da otto. Non non mi sono ammattito al punto da iniziare a mettere i voti ai pittori. Era proprio Massimo Campigli a dire che “c’è sempre una forma ad otto”.
Campigli da piccolo si chiamava Max Ihlenfeldt. Era figlio di Anna Paolina Luisa Ihlenfeldt, ragazza madre che crederà essere sua zia fino a ventisei anni.
Ha vissuto tra Firenze e Milano e nel 1914 entrò nel Corriere della Sera come segretario particolare del critico teatrale Renato “Turno” Simoni. Sono gli anni inizia a dipingere come autodidatta e avvicina ai futuristi, solo per un breve periodo, che però lo legherà alllo pseudonimo di Massimo Campigli.
Come inviato del Corriere, si trasferì a Parigi e fu qui che nel 1926 fece parte del gruppo dei Sette Italiani di Parigi con Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Renato Paresce, Alberto Savinio, Gino Severini e Mario Tozzi. Il gruppo riuscì a distinguersi, con le loro sperimentazioni, in quella che era la capitale mondiale dell’arte reinterpretano la tradizione italiana in chiave tra classiccismo e metafisica.
La pittura di Campigli è un continuo a passaggio tra citazione e originalità tra antico e moderno utilizzando dei segni grafici che sono propri della cultura italiana e in particolare nella cultura etrusca, pompeiana ma anche pescando nell’egizia e bizantina.
Estremamente interessante!
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