Il rinascimento si è lasciato alle spalle la cultura medievale. In sostanza si sostituisce la maniera dei bizantini e dei popoli romano-barbarici e si riafferma la centralità dell’uomo e la sua identità. Nel medioevo appena passato si era perso il concetto della misura di tempo e spazio. Con Giotto e in generale con le scuole umbre, con le maestranze romane intorno a Pietro Cavallini e infine con gli artisti del quattrocento toscani e urbinati, si è ricollocato l’uomo nella sua esistenza. Questa stagione si chiude con Piero della Francesca che riconcilia l’arte con il tempo e lo spazio fondendoli insieme e anticipando di oltre cinquecento anni le teorie scientifiche sullo spazio-tempo.
C’era una volta l’antico. Per l’uomo rinascimentale l’antico era un luogo della storia che teneva in se, senza fare troppe differenze, la cultura greca e quella romana ma anche la cultura egizia, quella dell’Asia minore, del nord’Africa; ovvero tutta l’arte delle culture che erano a Roma antica o perché approdate o perché conquistate.
Roma già dalla fine del XIII secolo cominciò ad attrarre tanti artisti che avevano interessi a quel periodo antico. Le intenzioni erano molteplici: c’era Arnolfo di Cambio che prendeva statue di spoglio al fine di modificarle in statue moderne; c’era chi, come Giotto, veniva a conoscere le tecniche esecutive; Donatello studiò i procedimenti di fusione; Brunelleschi le metodologie costruttive; c’erano gli antiquari come Francesco Squarcione che mandava un giovane Andrea Mantegna a disegnare il repertorio antico, per poi acquistarlo e venderlo. Un pellegrinaggio costante alla ricerca delle antichità e che diffonde un linguaggio estetico fondato sulla citazione dell’antico.
Nel frattempo da, Giotto in poi si stava elaborando l’interpretazione dello spazio nelle opere. L’arte paleocristiana e bizantina avevano rimosso la pratica della prospettiva a vantaggio di un ambiente astratto, privo di volumetrie, a volte assente anche di forme perché sostituito da grandi aree dorate. L’oro, con la simbologia della luce, aveva annullato lo spazio umano trasferendo il racconto sacro in un ambiente luminoso e astratto. Scompare il naturalismo per un po’ dalla storia europea.
L’artista non é più meccanico ma diventa liberale, mette sulla tavolozza la filosofia. Nel frattempo, con la caduta di costantinopoli nel 1453, si stavano trasferendo gran parte dei testi della biblioteca antica e giungono molte opere inedite in Europa tante altre in lingua originale.
Il momento è avvincente. Nelle opere si struttura una prospettiva geometrica che traduce la volontà di descrivere lo spazio dell’uomo con regole matematiche, scientifiche. Il tempo si descrive con la descrizione della storia dell’uomo, in breve, citando l’antico.

La flagellazione di Urbino di Piero della Francesca è la sintesi del momento. Ci sono due scene ben distinte nell’opera. A sinistra la flagellazione di Cristo. A destra un gruppo di personaggi contemporanei a Piero [chi essi siano sarà argomento di una lettura più circostanziata anche perché c’è un ampio e complesso dibattito sull’argomento].
La scena racconta due momenti diversi messi in analogia da due coppie di personaggi nella stessa posa:
- Il ragazzo vestito in rosso e Cristo alla colonna;
- il primo personaggio a sinistra del gruppo dei tre, forse il Cardinal Bessarione e Ponzio Pilato, seduto seduto in lontananza.
L’ambiente, in una prospettiva rigorosa, riflette il momento storico di entrambe le scene infatti la zona della flagellazione è una struttura che riproduce forme architettoniche antiche mentre la parte degli uomini che dialogano tra loro è un’ambiente quattrocentesco.
C’è però un elemento anomalo che intensifica il rapporto tra le dimensioni del tempo e dell spazio. É proprio la scena della flagellazione che è collocata sullo sfondo quando, nella norma, era spesso dipinta in primo piano mentre se c’era qualche personaggio importante, un committente, lo si posizionava di quinta a contemplare l’evento.
Piero non sbaglia quando si parla di spazio e in questo capolavoro raggiunge una vetta mai più eguagliata nella rappresentazione del tempo e dello spazio. Li fonde come se avesse intuito che c’è unità tra queste dimensioni, lo dimostrerà l’astrofisica moderna.
L’esempio più noto di spazio-tempo è quello della diffusione della luce nell’universo. Così come la luce delle stelle è solo un immagine lontana di una luce che è partita dalle profondità dell’universo milioni di anni fa, allo stesso modo, Gesù è collocato lontano nello spazio perché è vissuto in un tempo remoto, antico.
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